“Nell’ultima fase del conflitto Josif Broz Tito aveva (sfidando gli ordini di Stalin, attento agli equilibri internazionali e fautore di un gradualismo rivoluzionario) imposto il comunismo più duro e severo a un’intera nazione. Il padrone del Cremlino non apprezzò questo “inutile zelo” che rischiava d’irrigidire gli americani, ma con realismo preferì posticipare l’inevitabile rottura.
In nome della fedeltà all’Unione Sovietica, ai comunisti italiani non rimase che adeguarsi e ubbidire. Il punto di svolta decisivo fu l’incontro a Roma, nell’ottobre del 1944, tra i dirigenti titini e il leader del Pci, nel quale Togliatti accetto’ le loro pretese sull’Istria, Fiume, Trieste, Gorizia e gran parte del Friuli; pochi giorni dopo “il migliore” emano’ la direttiva di favorire in ogni modo “l’occupazione della regione Giuliana da parte delle truppe del maresciallo Tito”, ordinando ai suoi referenti locali di <prendere posizione contro tutti quegli elementi italiani che si mantengono sul terreno e agiscono a favore dell’imperialismo e nazionalismo italiano e contro tutti coloro che contribuiscono in qualsiasi modo a creare discordia tra i due popoli>.
Da quel momento le formazioni comuniste italiane passarono sotto gli ordini diretti del comando del IX CORPUS jugoslavo; chi tra i “garibaldini” mugugnò o protestò fu prontamente eliminato. In questo quadro la stessa esistenza dell’Osoppo divenne per il Pcj e i suoi ausiliari italiani semplicemente intollerabile. I comunisti di Togliatti, per ordine della federazione del Pci di Udine o/e dai “titini” (la questione è ancora aperta), s’incaricarono di “risolvere il problema e il sette febbraio ’45 salirono a Porzus…
7 febbraio 1945.
Friuli Orientale. Un centinaio di militi comunisti irrompe di sorpresa nel comando dell’Osoppo. L’azione è rapida,brutale. Terroristica. In pochi minuti gli attaccanti sono padroni del campo. Il bilancio dell’operazione e’ netto. Vittoria. I difensori, frastornati, alzano le braccia. Urlano, imprecano. Nessuno li ascolta. I vincitori hanno una stella rossa sul berretto e tanta fretta. Gli ordini del partito sono chiari e non si discutono: il quartier generale degli “osovani” deve essere annientato. Il plotone d’esecuzione è pronto. Qualcuno intona “bandiera rossa”. Pietà l’è morta…
7 febbraio 1945. Nei boschi della Carnia i sicari dei gruppi d’azione partigiana assassinano il comandante Feancesco De Gregori (lo zio dell’artista romano), i suoi luogotenenti (tra cui Guido Pasolini, il fratello di Pier Paolo) e i loro commilitoni. Un massacro. Venti partigiani italiani uccisi da altri partigiani italiani.
Da subito, come nel caso delle foibe e del terrorismo anti italiano, il Pci cercò di stendere una fitta coltre sull’episodio. Per decenni Botteghe Oscure e un triste sodalizio come l’Anpi imposero una visione manichea e storicamente inattendibile; ancora nel 1992 Occhetto e il Pds resero impossibile a Cossiga una commemorazione ufficiale a Porzus e tutt’ora il film sul massacro (girato nel ’97) di Renzo Martinelli rimane mestamente congelato negli archivi Rai.
Solo il 29 maggio 2012 Giorgio Napolitano si è recato a Porzus per rendere omaggio alle vittime dell’eccidio… (Tratto dal libro “Confini e Conflitti”, di Marco Valle, sintesi di Mario Laudenzi)