In programma per giovedì a Monza la presentazione di un libro sulle foibe, descritte come “martirologio mediatico”

“Fenomenologia di un martirologio mediatico. Le foibe nella rappresentazione pubblica dagli anni Novanta ad oggi”: un titolo questo che già di per sé sembra dire tutto sull’impostazione che Federico Tenca Montini, autore del libro che verrà presentato giovedì 3 febbraio a Monza, ha dato al suo lavoro. “Si tratta – è scritto nel manifesto che pubblicizza l’incontro – di un testo che inserisce la vicenda nella realtà storica del Novecento italo jugoslavo e si sofferma con particolare attenzione sul modo in cui è stata presentata negli ultimi due decenni al grande pubblico da istituzioni, media e artisti”.

L’evento, organizzato dall’Anpi, è stato ovviamente “benedetto” dall’amministrazione comunale monzese, che oltre a mettere a disposizione la sala in cui verranno accolti i partecipanti, ha anche concesso il proprio patrocinio istituzionale. Fornendo così un crisma ufficiale ad un’operazione che, a pochissimo tempo dalla celebrazione del Giorno del Ricordo, sa di provocazione. E di offesa ad una Verità storica indiscutibile, che c’è ancora chi si ostina a negare e minimizzare.
Lo scorso anno, sempre a Monza, era stata invitata a parlare la scrittrice negazionista Alessandra Kersevan, secondo la quale “commemorare i morti delle foibe significa ricordare rastrellatori fascisti e collaborazionisti nazisti”. Quest’anno sembra sia la volta di chi intende proporre una critica neanche troppo velata a coloro che, fino ad oggi, si sono faticosamente battuti affinché la verità su quella drammatica pagina di storia venisse conosciuta e diffusa. Affinché, quindi, venisse restituita memoria e dignità a chi è stato barbaramente gettato nelle foibe e a chi è stato costretto ad abbandonare la propria terra per sfuggire al terrore e alla violenza delle bande titine.
“Dopo le tesi negazioniste sui martiri delle foibe ed esodo – scrive Fausto Marchetti, esponente monzese di Lealtà Azione – ora portano avanti la strada del giustificazionismo, tutto sempre con il simbolo del comune, ormai supino ad ogni loro iniziativa. Noi non intendiamo fare polemiche. Non ci interessa sottolineare che quella che chiamano resistenza ancora una volta si dimostra un avallo di menzogne perpetrate nel tempo dai vincitori per nascondere gli omicidi compiuti, nella maggior parte dei casi a guerra finita, a scapito di donne, vecchi e bambini la cui unica colpa era quella di essere e di voler restare italiani”.
Quegli uomini, donne e bambini italiani, sono vittime tre volte: la prima quando furono preda dell’odio partigiano, la seconda quando le pagine con le loro vicende sono state violentemente strappate dal libro della storia del nostro Paese e relegate in un oblio che alcuni avrebbero voluto eterno e la terza oggi. Oggi che, quando qualcuno tenta di dire la verità, di diffonderla e di ricordare, viene definito, in senso spregiativo, “revisionista” (come se con tale termine non si intendesse chi riesamina criticamente gli eventi sulla base di nuove scoperte ma chi vuole riscrivere, secondo la propria “verità”, alcuni fatti in realtà andati diversamente). Oppure, con tono forse ancora più subdolo, artefice di un “martirologio mediatico”.
L’unica consolazione, di fronte a tanta insipienza intellettuale e morale, è che per fortuna c’è ancora chi si impegna per ricordare. Con una legge, con uno spettacolo teatrale, con cortei, fiaccolate, concerti e iniziative di vario genere. Gente che quando si guarda allo specchio, con tutti i suoi limiti, può comunque non abbassare lo sguardo. Siamo certi che si possa dire altrettanto di chi offende la verità e la storia?

Cristina Di Giorgi – Il Giornale d’Italia

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