Dopo oltre settant’anni dall’inizio dei tragici eventi che hanno causato oltre 15.000 morti infoibati e 350.000 esuli dalle terre italiane dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia finalmente negli ultimi anni, dopo decenni di colpevole oblio, si parla sempre più spesso di FOIBE e del Giorno del Ricordo dei martiri delle Foibe e degli esuli Istriani Fiumani e Dalmati, istituito nel 2004, con la Legge n. 92.

Ad oggi però, c’è ancora tanto da lavorare per fare conoscere questi tragici eventi, basti pensare che solo l’anno scorso in occasione di una mostra sull’Istria qualcuno incuriosito, paventando una certa conoscenza mi disse che quello delle “Foibe Ardeatine” era stato un dramma e che sarebbe stato giusto ricordarlo. Poi ho spiegato al signore, incolpevole vittima del sistema scolastico, che aveva unito due eventi storici e che forse era meglio che andasse a ripassare la storia magari con libri un po’ più recenti.

 

Brevemente qualche cenno storico per chiarire un po’ le idee.

Già nel II° secolo a. C. i territori istriani e dalmati vennero sottoposti alla dominazione romana fino a costituire una vera a propria regione italica “Venetia ed Histria”, e iniziando da allora a sviluppare nell’Adriatico orientale una civiltà di carattere latino, tanto che a Pola (in Istria) fu costruito un importante anfiteatro romano.

Dopo 900 anni, nel VII° secolo d. C. gli slavi, dopo una serie di battaglie, si insediarono in questi territori, soprattutto nell’entroterra, lasciando sviluppare alle città marinare (Pola, Zara, Spalato, Fiume, Ragusa) una certa civiltà comunale italica fiera della propria autonomia.

La Repubblica di Venezia, nel 1250, acquisì l’Istria e nel 1409 la Dalmazia, ad esclusione della Repubblica di Ragusa che rimase indipendente. Il dominio veneto ebbe fine nel 1797 con il Trattato di Campoformio che decretò la fine della Repubblica di Venezia.

Dopo l’avventura napoleonica e il congresso di Vienna (1814-1815) le terre istriane, fiumane e dalmate entrarono a far parte dell’impero austro-ungarico, fino allo scoppio della prima guerra mondiale (1914). L’Italia nel frattempo, da dopo il congresso di Vienna, aveva avviato un processo di unificazione territoriale al quale mancavano solo Trento e il Trentino, Trieste e la Venezia Giulia e l’Istria, appartenenti all’Austria. Proprio per questo motivo un anno dopo l’inizio della prima guerra mondiale, nel 1915, l’Italia entrò in guerra a fianco della triplice intesa e contro gli imperi centrali, con i quali in passato aveva già stipulato un patto di non belligeranza, avviando così una sorta di quarta guerra d’indipendenza. Gli accordi segreti con l’Intesa prevedevano che in caso di vittoria, all’Italia sarebbero stati annessi i territori del Trentino, della Venezia Giulia, dell’Istria, di una parte della Dalmazia e di altre isole dell’Adriatico (Patto di Londra – 26.04.1915), proprio per permettere di completare quel processo di unificazione territoriale che non era riuscito nella terza guerra d’indipendenza. Alla fine della prima guerra mondiale, al Congresso di Parigi partecipò anche l’Italia essendo nazione vincitrice, ma le furono concesse solo il Trentino, la Venezia Giulia e l’Istria a causa della ferma opposizione del presidente americano Wilson, che non aveva sottoscritto il patto e quindi non si sentiva obbligato da questo. Vittorio Emanuele Orlando abbandonò per protesta la conferenza di pace di Parigi. In seguito il nuovo presidente del consiglio italiano, Nitti, iniziò delle trattative dirette con il nuovo regno dei Serbi, Croati e Sloveni che portò alla firma del Trattato di Rapallo, nel 1920. Con questo trattato all’Italia andarono le città di Zara e qualche isola del Quarnaro; tutto il resto della Dalmazia fu assegnata al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Solo nel 1924 Fiume fu annessa all’Italia.

Iniziarono allora sia in Dalmazia sia in Istria delle vere e proprie modifiche dalla toponomastica, agli insegnamenti nelle scuole, fino a vietare l’uso della lingua slovena in Istria o dell’italiano in Dalmazia in modo da permettere una nazionalizzazione forzata della popolazione residente. In Dalmazia venne messo al bando tutto ciò che era italiano e la stessa cosa successe in Istria con ciò che era sloveno. Furono perseguitati da una parte e dall’altra tutti i movimenti irredentisti.

 

Dall’autunno del 1943, successivamente alla comunicazione dell’armistizio italiano (8 settembre) e fino al 1947, le popolazioni italiane residenti in Istria e Dalmazia furono vittime di vere e proprie persecuzioni portate avanti dai partigiani jugoslavi capeggiati da Josip Broz, detto Tito, per fare sparire gli oppositori del regime comunista alle mire annessionistiche del dittatore jugoslavo. Non solo fascisti o collaborazionisti ma anche dipendenti statali, media e piccola borghesia, imprenditori, sacerdoti e Vescovi, donne, anziani, bambini, anche partigiani bianchi, una vera e propria mattanza le cui vittime erano incondizionatamente tutti coloro non comunisti. Occorreva sterminare il nemico per occupare i territori. I metodi erano scientifici e nulla avevano a che fare con lo spontaneismo popolare di “vendetta”. Ancora più grave fu che la situazione si aggravò notevolmente, proprio a guerra finita e cioè nel maggio del 1945, quando sia Mussolini che Hitler erano già morti e le rispettive dittature sconfitte e inesistenti.

Fu infatti con la caduta del nazismo che iniziò la corsa per occupare quei territori che erano nelle mira del progetto annessionistico di Tito. Il 1° maggio 1945 le truppe jugoslave riuscirono a entrare per primi a Trieste; scrivendo sui muri delle città e gridando “Trst je nas” – “Trieste è nostra”. Le truppe anglo-americane entrarono a Trieste il 2 maggio 1945, con 24 ore di ritardo ed ebbero vita dura. Gli slavi infatti ne ostacolarono l’ingresso e non cedettero loro nessun potere relegandoli al ruolo di ospiti non graditi. I titini proseguirono incessantemente e velocemente la loro azione di snazionalizzazione del territorio e d’ imposizione della loro volontà. La polizia jugoslava arrestò a Trieste, in quei quaranta giorni, centinaia di migliaia di persone che vennero deportate in campi di concentramento; di molte di loro non si seppe più nulla. Vennero attivati i “Tribunali del Popolo” coadiuvati dai GAP (Gruppi di Azione Patriottica, Partigiani Italiani attivi nell’UAIS – Unione Antifascista Italo Slovena). Nel giro di 48 ore la città passò dal torchio della nazista GESTAPO a quello, più oppressivo e cruento della comunista OZNA. Ne è un esempio la “Risiera di San Sabba” utilizzata prima dai nazisti e poi dai comunisti. Il 5 maggio, i partigiani jugoslavi aprirono il fuoco contro un gruppetto di manifestanti l’italianità di Trieste che sventolavano un tricolore; nel corso di questo episodio persero la vita 5 persone, decorati nel 2006 con Medaglia d’Oro al Merito Civile. L’8 di maggio venne proclamata solennemente “Trieste Autonoma – Settima Repubblica” in seno alla “Jugoslavia Federativa e Democratica” del Maresciallo Tito.

Già da subito gli alleati si accorsero dei nefasti metodi del comunista Tito e decisero di intervenire ordinando perentoriamente alle Milizie jugoslave di allontanarsi dalla città in modo da permettere agli alleati di utilizzare il porto di Trieste, e di portarsi quindi al di là della cosiddetta linea Morgan. Nel frattempo i rapporti fra Tito e Stalin si erano compromessi e quindi il dittatore jugoslavo non poté più contare sull’appoggio del dittatore russo e fu costretto ad abbandonare la città il 12 giugno 1945. Trieste per ricongiungersi alla madrepatria dovette aspettare ancora altri nove anni (1954) e altri martiri.

Gli esuli Dalmati e Istriani nel frattempo, terrorizzati dalle deportazioni di massa, raggiunsero i territori italiani ma vennero accolti con sospetto e tacciati di essere fascisti in quanto fuggivano dai territori che per l’opinione pubblica di allora erano il paradiso comunista che Tito aveva formato. Fu questo un elemento che fece vivere a quella popolazione un’altra disgrazia, quella dell’oblio. Nessuno si ricordò mai di questi italiani, fortemente attaccati alla Patria, che vissero per essa momenti tragici perdendo anche ogni avere oltre ad affetti umani dentro la profonde gole carsiche. Morti di serie B erano classificati gli italiani infoibati.

Le Foibe e l’Esodo devono essere letti quindi come una manifestazione dell’uso del terrore ad opera della politica: crudeltà, imprevedibilità, irrazionalità, sono questi gli elementi tipici. Violenza cieca e sacrificio di vite umane.

Fino a qualche anno fa nei dizionari della lingua italiana la parola Foiba era indicata come profonda gola carsica formatosi nel lento trascorrere dei millenni e presente in particolare modo nel carso goriziano, triestino e istriano; null’altro. C’è voluta la fine delle dittature comuniste e la disgregazione dell’ex Jugoslavia per potere finalmente iniziare a parlare delle Foibe sotto un altro punto di vista, quello drammatico per le popolazioni italiane. Con il termine infoibati si suole annoverare anche i fucilati, gli annegati, o i tanti lasciati morire di stenti e malattie nei campi di concentramento jugoslavi. Inoltre la logica del terrore messa in atto da Tito ebbe un ruolo determinante nell’indurre centinaia di migliaia di cittadini italiani residenti in Istria e Dalmazia ad abbandonare le proprie case, il proprio lavoro e i propri averi e scegliere la strada dell’esodo. Furono 350.000 gli italiani che da quella piccola penisola istriana esiliarono con i treni messi a disposizione dallo Stato italiano e con il mercantile “Toscana” per poi essere destinati ai CRP (Centri raccolta Profughi) dislocati in tutta la penisola italiana.

In questa analisi non posso non fare riferimento anche al colpevole silenzio della classe dirigente politica italiana del post-fascismo. Tutti conoscevano la situazione di Trieste e dell’Istria, sopratutto Togliatti e il PCI, ma nessuno ha mai mosso un dito per arginare questa strage. Il “grande” Palmiro Togliatti addirittura considerava l’espansione territoriale dello Stato Jugoslavo sul nostro suolo nazionale come un “fatto di cui rallegrarci” ordinando alle formazioni partigiane giuliane di porsi sotto comando jugoslavo e di “collaborare nel modo più stretto” con le milizie titine; i GAP presero alla lettere tali ordini rendendosi responsabili, specialmente in Istria, di innumerevoli efferatezze a danno dei nostri connazionali accusandoli di essere “nemici del popolo”.  Si ricordi anche il massacro di Porzus, 7 febbraio 1945, nel quale persero la vita i Patrioti della Brigata Osoppo, trucidati dai GAP appartenenti al Partito Comunista Italiano, solo perché si opponevano alla consegna di alcuni territori italiani ai partigiani jugoslavi, difendendo queste terre con grande spirito patriottico.

Per oltre cinquant’anni nessuno ne ha mai parlato. Il Partito Comunista Italiano ha sempre negato le barbarie delle foibe. Solo da qualche anno si è iniziato a inserirlo nel programma scolastico della storia del novecento. Chi ha pagato per la sconfitta nella seconda guerra mondiale sono stati solo le popolazioni italiane di Trieste, Fiume, Istriane e Dalmate. Loro hanno pagato per tutti. Un’amputazione dei territori italiani è stata fatta successivamente con il Trattato di Osimo, nel 1975, che ha definitivamente consegnato quelle terre, ad eccezione di Trieste, alla Jugoslavia di Tito.

Il 22 febbraio 1980 la “Foiba di Basovizza” venne dichiarata “Monumento di interesse nazionale” in quanto “testimonianza di tragiche vicende accadute alla fine del secondo conflitto mondiale e diventata fossa comune per un numero rilevante di vittime, molte delle quali fatte precipitare dentro ancora vive”. Solo nel 1992 la Foiba di Basovizza verrà dichiarata “Monumento Nazionale” e poi, anche la Foiba di Monrupino.

Prima istituzione pubblica a rendere omaggio a queste vittime fu il Presidente della Repubblica Italiana Francesco Cossiga, che si inginocchiò sulla Foiba di Basovizza, e poi tutti gli altri che si sono susseguiti.

Il 30/03/2004 venne approvata la Legge n° 92 che istituisce il Giorno del Ricordo.

Ancora oggi però il Mar. Josip Broz detto Tito è insignito di una delle più importanti e significative onorificenze della Repubblica Italiana ed esattamente di “Cavaliere di Gran Croce al Merito della Repubblica Italiana” consegnata nel 1969 dall’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat in occasione di una sua visita a Belgrado.

A dieci anni dall’Istituzione della “Gionata del Ricordo” il neo-Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha l’obbligo civile oltre che etico di revocare immediatamente questa vergognosa onorificenza in nome di una pacificazione nazionale che tutt’oggi stenta a compiersi e di una rilettura della storia che sia obiettiva e non asservita al potere politico.

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