“La destra siamo noi” è il nuovo libro appena uscito di Giampaolo Pansa (Rizzoli per la collana “Saggi italiani”, € 16,92). Dopo aver analizzato in profondità gli aspetti più nascosti della guerra civile 1943-‘45 (con titoli quali “Il Sangue dei vinti” e “La grande bugia”), il giornalista esamina ora la destra italiana.
Su alcune figure non esistono dubbi. Fra gli antenati della destra italiana troviamo Giovanni Guareschi, il comandante Junio Valerio Borghese, Giorgio Almirante, Franco Freda, Indro Montanelli.
È giusto affiancare a loro i democristiani Mario Scelba e Amintore Fanfani, grandi manager come Eugenio Cefis e Cesare Romiti, un eroe civile come Giorgio Ambrosoli, un leader nascente come Matteo Salvini? Ritiene di sì Giampaolo Pansa, rovesciando un luogo comune che considera la destra “una piccola parrocchia di pochi fanatici e di bombaroli neri”. Gli avversari l’hanno sempre dipinta così. Tanto da spingere molti elettori moderati, conservatori o nostalgici del fascismo a pensare che la loro parte politica non fosse necessaria alla democrazia, mentre lo erano i cattolici e i comunisti. Pansa ribalta il verdetto sin dal titolo del suo nuovo libro: “La destra siamo noi”.
Non è un brillante paradosso. È la sintesi di una verità: pure chi si schiera dietro una bandiera che la maggioranza rifiuta, appartiene alla storia italiana.
“Anche perché tutti siamo un po’ di destra e su alcune questioni in modo deciso. Del resto gli esseri umani hanno un connotato comune: la doppiezza, una natura ibrida capace di passare da un’opinione a quella opposta. Allora perché negare che la destra abbia lo stesso diritto di esistere che la sinistra riserva soltanto a se stessa?” tiene a precisare Pansa.
Il realismo sfacciato di questo giornalista diventato inviso alla sinistra, da cui peraltro proviene, autore estraneo ai califfati culturali, ci presenta un affresco dell’Italia costruito su storie e personaggi in apparenza contraddittori, e pure su casi estremi. La maîtresse in gramaglie per la chiusura delle case di tolleranza. Il travestito che si porta a letto un senatore democristiano. L’orrore che strazia una squillo missina. L’amore proibito tra la ragazza nera e quella rossa. Sino all’enigma della strage di Bologna: un’apocalisse fascista o una rappresaglia dei palestinesi?
Tra le pagine più intense ci sono quelle che Pansa dedica a Giorgio Almirante: “Oggi debbo riconoscere che qualcuna delle mie domande era scioccamente provocatoria. Cominciai con il chiedergli perché non avesse mai tenuto un comizio a Cuneo. Una città dove l’antifascismo organizzato era diventato una religione politica. Lì esisteva un movimento, chiamato Cuneo brucia ancora, che teneva vivo il ricordo di una guerra civile ormai conclusa da un trentennio. Domandai: ‘È vero che lei ha paura di andare a Cuneo?’. Lui mi fissò con i suoi occhi verdi, diventati di colpo gelide biglie di vetro. Poi rispose: ‘Pensi quello che vuole’. ‘Ma ha paura o no?’ La replica del leader missino mi arrivò addosso come una freccia: ‘Io ho sempre paura. Ma sono trent’anni che la supero con il coraggio. Lei crede che si possa stare in questo posto dove sto io essendo bloccati dalla paura?’. Il coraggio gli aveva consentito di far nascere una destra molto diversa. Quella di Michelini vivacchiava nei corridoi del sottogoverno. La destra di Almirante, invece, era andata all’offensiva sulle piazze”.

Quelsi Quotidiano

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